
L’industria automobilistica europea sta attraversando un momento di profonda trasformazione, guidata dall’ambizioso obiettivo di ridurre le emissioni e adottare tecnologie più sostenibili. Tuttavia, ciò che inizialmente era stato dipinto come una transizione “verde” e innovativa verso il futuro della mobilità, si è rivelato un percorso accidentato, pieno di incertezze e potenzialmente disastroso per l’occupazione e l’economia locale. I recenti annunci di Volkswagen, Audi, Michelin e Bosch sono solo la punta dell’iceberg di una crisi che sembra ben lontana dalla soluzione.
Volkswagen e Audi: le prime avvisaglie di un problema strutturale
Volkswagen, una delle case automobilistiche più influenti in Europa, ha minacciato di chiudere tre stabilimenti in Germania, mettendo a rischio migliaia di posti di lavoro. La causa? Le difficoltà nel garantire una produzione sostenibile e competitiva per veicoli elettrici e un’incertezza crescente sulle normative future, che rendono arduo prevedere la domanda di auto elettriche nei prossimi anni.
Audi, altra punta di diamante del gruppo, non è rimasta immune. Anche per il marchio dei Quattro Anelli si è parlato di possibili tagli e razionalizzazione della produzione. Nonostante Audi si sia impegnata in un piano ambizioso per ridurre l’impronta di carbonio e puntare sull’elettrico, la redditività dei veicoli a zero emissioni non sembra allinearsi alle aspettative, complice anche la concorrenza agguerrita dei marchi cinesi che producono a costi molto più bassi.
Michelin e Bosch: la crisi si allarga anche oltre il settore automobilistico
La crisi non si limita solo ai produttori di automobili. In Francia, Michelin ha annunciato una possibile riduzione dell’attività in due dei suoi siti produttivi. L’azienda, leader nella produzione di pneumatici, sta soffrendo gli effetti indiretti della transizione green, che spinge verso modelli di business meno centrati sulla produzione e più orientati alla sostenibilità e all’economia circolare. Tuttavia, questo spostamento di focus non ha finora generato profitti capaci di compensare la domanda in calo dei modelli tradizionali.
Anche in Italia si registra un contraccolpo: lo stabilimento Bosch di Modugno, specializzato nella produzione di componenti per motori diesel, è in bilico. La spinta per eliminare i motori a combustione interna ha colpito duramente le aziende che hanno investito ingenti risorse in tecnologie ormai destinate a scomparire.
Chi sarà il prossimo?
La domanda su chi sarà il prossimo colosso a trovarsi in difficoltà non è solo retorica. La transizione ecologica, pur necessaria, è stata avviata con una rapidità e una determinazione tali da non permettere all’industria di adattarsi adeguatamente. Molte delle case automobilistiche e dei produttori di componenti tradizionali si trovano in una situazione di stallo: l’incertezza normativa e la pressione per investire in tecnologie pulite stanno erodendo margini di profitto e stabilità finanziaria.
Conclusione: Le false promesse della transizione green
Mentre l’obiettivo finale della transizione green è chiaro, i mezzi per raggiungerlo sono diventati un terreno scivoloso per le aziende e i lavoratori coinvolti. Il rischio è che si crei un vuoto industriale e occupazionale, con conseguenze economiche e sociali gravi, soprattutto in Europa. La transizione ecologica va dunque accompagnata da politiche strutturali che proteggano i lavoratori e sostengano le aziende durante il processo di trasformazione.
La domanda resta aperta: l’industria automobilistica riuscirà a superare questa sfida o vedremo un’ulteriore disgregazione di un settore che ha per decenni rappresentato il fiore all’occhiello dell’economia europea?